VIVA DUE VOLTE
Due giorni fa, di sera, mentre tornavo a casa, stringendomi nella giacca perché il freddo a Milano è già pungente, ho alzato lo sguardo in piazza del Duomo e guardato la chiesa.
Era splendida.
Il biancore del marmo e le luci che dall’interno illuminavano i vetri colorati dei finestroni della facciata, le davano un’aria quasi fiabesca.
Era bianco e colori, toni di rosso, blu,verde, tutto era armonia.
Ho guardato ancora più su, alle guglie e alla Madonnina, che è tutta ingabbiata da mesi perchè la stanno mettendo in sicurezza, ed è un po’ nascosta, ma presente.
Ho sorriso, perché ancora oggi dopo più di venti anni, la città mi sorprende con la sua bellezza.
Non è spudorata ma riservata, questa signora.
Stendhal che l’amò di un amore appassionato, diceva di lei che il tempo nel quale aveva abitato lì, era stato il più bel tempo della sua vita.
La città che vive, cammina, si rinnova e che offre se stessa ma senza baccano, facendo poco rumore, non mostrando subito le sue bellezze, per farsi scoprire poco a poco.
E’ la città che vidi per la prima volta da bambina, solo tre anni e poi ancora a dieci e dodici anni.
Era tutto così grande e sconosciuto, sgranavo i miei occhi di bambina e assorbivo, come una spugna tutte le stranezze che vedevo.
Il Duomo e i suoi piccioni, ma quanti erano e dove andavano tutti a dormire la sera, chiedevo a mia mamma; peccato non ricordare la sua risposta.
Col tempo mi sono sentita una giovane Holden, anche se le anatre e Central Park sono tutta un’altra storia.
La volta in cui finalmente venni da sola a trovare i miei zii, ero adolescente.
Girai tutta la città spesso da sola, con l’incoscienza che puoi avere solo a quell’età e decisi che la mia vita io volevo partisse esattamente da li.
Provai a cercare altrove, ma l’anno passato a Napoli fu fallimentare, la città ed io non eravamo pronte ad accoglierci.
In piena crisi capii che dovevo cercare altrove il mio futuro, e pensai alla decisione di tanti anni prima, quella che avevo preso seduta su di una panchina di piazza S. Fedele, circondata da tutto quel bianco che sarebbe rimasto nei miei occhi da allora per sempre.
Del treno preso, dei mesi difficili passati ad ambientarmi e dei tanti chili persi, perché lontana da casa, ho già parlato tante volte.
E delle mie crisi. Quando anche a Milano, sembrava che non girasse nulla nel verso giusto.
Altre volte vi parlerò dei miei zii, che ho adorato e che mi hanno accolta a braccia aperte sostenendomi sempre, in ogni difficoltà: loro mi hanno insegnato che il percorso intrapreso a piccoli passi ovvero quel cammino che stavo facendo, mi avrebbe portato lontano e sarei stata in grado presto, di acchiapparlo al laccio, il mio destino.
E allora vi chiedo se vi è capitato di provare le stesse emozioni, e cosa o chi vorreste ringraziare per il cammino che avete fatto ?
E Milano, la conoscete?
Cosa amate di più?
Io di Milano amo in modo particolare i giardini di Villa Palestro e l’angolo di Montanelli, davanti ai quali passo tutte le mattine e anche se non riesco come una volta a fermarmi per leggere il giornale o a passarci la pausa pranzo leggendo un libro, so che c’è sempre e mi aspetta.
Mi sono venute in mente queste parole stasera, scritte quasi duecento anni fa, dalla mia poetessa preferita, Emily Dickinson, io gliele dedico, perché le mie non mi sembrano abbastanza forti e sufficienti per ringraziarla.
Che bello essere viva!
Che infinito essere viva due volte, la nascita che ebbi
e questa, poi, in te!
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